2003 - QUOTIDIANE INQUIETANTI VISIONI (Lorenzo Canova) Stampa E-mail
QUOTIDIANE INQUIETANTI VISIONI

Enzo Amendola è un artista enigmatico, un pittore solo apparentemente lirico e tranquillizzante che costruisce illusioni molto rischiose per gli sguardi troppo spesso disattenti degli osservatori. Il canone che regola le strutture delle opere di Amendola è fondato infatti sulla legge spiazzante dell'allucinazione, su quella distorsione percettiva che all'improvviso compone spettaco¬li insieme credibili e assurdi generati per indurre in errore anche gli occhi più smaliziati.

Così, in modo anche invisibile, l'artista si connota come un abilissimo creatore di inganni, come un severo inventore di labi¬rinti in cui la dimensione onirica può virare spesso verso una variante lucida e consapevole dell'incubo, in una situazione che risulta ulteriormente "alterata"
Finestra sul mare (2001)
Finestra sul mare (2001)
non solo dall'esattezza di un'impeccabile e assicuratissima stesura pittorica ma anche da una deliberata volontà di confondere gli sguardi e le menti degli spettatori.

Lo straniato nitore delle immagini di Amendola è dunque fondato su un severo rigore "architettonico" agitato però da vibra¬zioni sotterranee, da segnali che oscillano tra le pieghe della sua perfezione, onde diffuse sotto la superficie impassibile e rag¬gelata della pittura come pulsazioni sonore di un'allarmante armonia.

Tuttavia, l'allucinazione di Amendola non parte tanto da una matrice surrealista, quanto da una più italiana — e germanica - origine metafisica (in più di un'occasione notata da critici come Mario Lunetta, Domenico Guzzi, Sissi Aslan, Marcello Venturoli, Giacomo Porzano), declinata però con un lessico nuovo, arricchito dall'esperienza di una certa pittura d'immagine americana a cui si è saldata la conoscenza dell'iperrealismo e di una certa figurazione italiana degli anni Sessanta e Settanta. In questa coltura feconda, l'opera di Amendola non sembra dunque animata soltanto da una spinta a seguire le orme di de Chirico o, prima di lui, Arnold Bòcklin, ma, soprattutto, dalla volontà implacabile di creare una realtà parallela, un mondo dove la riproduzione della vita quotidiana si salda al sogno, determinando uno sfaldamento della nostra capacità di riconosce¬re ciò che possiamo interpretare come "verità".

In questo modo è di nuovo l'allucinazione a dominare queste immagini, a rendere minacciose e misteriose le composizioni appa¬rentemente più innocue e quotidiane, a trasportare il nostro sguardo al di fuori dei suoi limiti abituali grazie alla sapiente colloca¬zione di una serie di trappole molto efficaci, dispositivi che creano dei veri e propri cortocircuiti nella nostra percezione del reale. Si veda ad esempio un quadro come Finestra sul mare (200I), una tela a prima vista concepita come una serena rappresentazio¬ne di una terrazza estiva con il suo distensivo panorama: l'immagine complessiva di questo dipinto sembrerebbe tranquilliz¬zante, eppure qualche elemento stona e dovrebbe far sospettare qualcosa di strano ad un osservatore più attento.
Notturno (2002)
Notturno (2002)
Ci si dovrebbe dunque chiedere perchè la sedia a sdraio di quest'opera non fa ombra: l'artista conosce molto bene le ombre, ha fatto studi di architettura e ne possiede tutte le leggi (come accade ad esempio in una tempera su cartone del 200I che rap¬presenta due Scarpe da Tennis), eppure quella sdraio non getta nessuna ombra, appare sovrapposta al piano della terrazza ma non sembra veramente farne parte integrante, quella sdraio "incriminata" potrebbe dunque far supporre una realtà artificiale che l'artista svela attraverso particolari minimi, mediante gli oggetti apparentemente più banali.

È vero che altri elementi danno il senso di una inquietante sospensione, come il mare piatto e senza onde, o come la costa che sembra essere stata deposta sull'orizzonte soltanto un momento prima, ma il vero enigma di questa solare veduta di un gior¬no d'estate rimane sempre quella sdraio.

Così, se la terrazza sul mare dipinta da Amendola fosse stato lo scenario di un delitto (come è avvenuto similmente in Blow¬up di Michelangelo Antonioni o ne I misteri dei Giardini di Compton House —The Draughtman's Contract — di Peter Greenaway), quel¬la sedia a sdraio probabilmente avrebbe racchiuso la chiave per risolvere l'intero meccanismo di un delitto. In questo senso, è inevitabile pensare a quella "metafisica degli oggetti quotidiani" (così cara a pittori come de Chirico, Carrà o Morandi) in cui gli oggetti più ordinari appaiono carichi di segreti; eppure va notato che il bagaglio visivo e concettuale di Amendola è però ulteriormente arricchito da una (forse inconsapevole, ma comunque inflessibile) disposizione verso una sottile, e raffinata, atrocità, resa ancora più pungente dall'esteriore innocenza delle sue immagini. Del resto, possiamo notare come una simile disposizione ricorra anche in un dipinto quale Poltrona bianca (2002), concepito non più con le luci di un mistero diurno dove le ombre sono quasi scomparse, ma con i toni di un'oscurità in cui i volti e gli oggetti possono apparire come sferzati da un lampo improvviso, da un flash che congela la scena rappresentata in quel bagliore dove il tempo e lo spazio sembrano quasi annul-lati, dove la poltrona dialoga con la donna in primo piano costruendo una nuova sintesi tra organico e artificiale, tra il corpo fem¬minile (che esce dal nero come per una trasformazione interna alla sua stessa materia) e il nitore irreale del mobile (che splende di una luce sulfurea e baluginante), nel contrasto di apparizioni improvvise che bruciano nel buio della stanza priva di una prospet¬tiva plausibile, tagliata in due dalla cesura da cui s'intravedono un mare e un cielo che (nella loro piattezza quasi astratta) aumen¬tano il disagio emanato da un interno privo di ogni logica apparente, e giustificato soltanto dalle leggi sotterranee dell'incubo.
Scarpe da tennis (2001)
Scarpe da tennis (2001)
In questo percorso serrato e conseguente, anche il dipinto Notturno (2002)) è fondato su un incontro misterioso, sull'unione oni¬rica tra una donna addormentata e una casa immersa nella luce bluastra della sera, in una fusione iconica che abbandona lo spet¬tatore tra le spire di una voluta incertezza. L'artista lascia dunque ancora deliberatamente irrisolto questo rebus visivo: forse la giovane donna è soltanto distesa su una terrazza sovrastata dall'edificio antistante, oppure stiamo assistendo al suo sogno, maga¬ri trasmesso da un futuribile schermo collegato con le sue onde cerebrali, o forse ancora l'artista ha creato una percezione illu¬soria in cui le pareti della stanza dove giace la ragazza si sono dissolte per mostrarci la costruzione che incombe sul sonno della protagonista.

Così il pittore, come un regista smaliziato, ha disposto sapientemente le luci e gli elementi visivi di quest'opera per lasciarne volutamente aperto il finale; come avviene anche in certe tecniche miste su carta, lavo¬ri dove l'artista si riserva di definire compiutamente sol¬tanto certi particolari (ad esempio un vestito, un'isola o dei peperoni), elementi che all'inizio sembrano scaturire da una scelta del tutto casuale, ma che nella tessitura composita del loro intreccio potrebbero rivelare gli arca¬ni di un progetto definito con molta esattezza, un trac¬ciato visivo accurato e recondito in cui gli oggetti sem¬brano affiorare in modo indecifrabile dal bianco astratto e immateriale del fondo.

Attraverso questa trama, uno sguardo finalmente consapevole potrebbe cercare di leggere e interpretare tutta la mostra, il percorso segreto attraverso il quale il pittore ha suggerito delle soluzioni che non ha però voluto rivelare apertamente, obbligando dunque lo spettatore ad abbandonare il suo pigro guardare e costringendolo finalmente a vedere. Così, con mano sapiente, Amendola ha distribuito i suoi indizi per aiutare l'osservatore ad uscire dall'allucinazione, a svelare il mistero e a liberarsi dal labirinto dove lo stesso artista lo ha rinchiuso: dunque è ancora possibile ritrovare un sentiero esile che porta verso la salvezza, uscire dai meandri costruiti dal pittore e, dopo una lunga ricerca, intuire infine il meccanismo dell'illusione.

Lorenzo Canova

(Catalogo della Mostra alla Galleria “Il labirinto”, Roma 2003)