1996 - Enzo Amendola UNA PITTURA FRA ASSENZA E PRESENZA (Vito Apuleo)
Il viaggio, la spiaggia, gli interni la memoria. Costanti di una visione, i singoli temi affollano il linguaggio di Enzo Amendola lungo un percorso che nella sua resa immediata può anche suggerirsi strettamente e didascalicamente narrativo. L’unità nella differenza che caratterizza le singole fasi di un tale processo espressivo sollecita però considerazioni altre. Conduce cioè a riflessioni che portano ad approfondire motivazioni strettamente legate alla psicologia del profondo. E si spiega. L’assunto è certamente sollecitato dal racconto. Si tratta allora di stabilire i termini di una tale specificità. Chiarire, insomma, quanto della realtà continui a suggerirsi all’interno dell’oggettività figurativa e quanto dell’Io narrante si imponga su tessuto percettivo. Da qui l’evidente complessità delle singole situazioni. Fisse, immobili, le figure affollano lo spazio dell’immagine e quello dello spettacolo. Per lo più sono giovani che a loro modo invocano una certa modernità, una certa inclinazione
Viaggio n.3 (1992)
Viaggio n.3 (1992)
sensibile al look dei nostri giorni, al colore, all’atteggiamento. Ma subito dopo ti accorgi della solitudine che circonda i singoli protagonisti. Ti rendi conto di quanto fissi siano i loro sguardi. Palpi nell’aria il rumore del silenzio avvolto dalla singolarità di una metafisica astrazione. Su tutto domina il non colloquio. Quel non guardarsi. Quello stare insieme inseguendo ognuno un proprio pensiero. Al centro di una simile concezione del vissuto c’è quindi l’artista con le sue trepidazioni, i suoi ricordi, la sua malinconia. Una malinconia non rinunciataria né disponibile all’annullamento delle relazioni ma tutta protesa, questo sì, a cercare di realizzare in termini di conoscenza il rovesciamento di una tale condizione esorcizzando, le componenti esteriori che questa malinconia possano esasperare. Inserito in un siffatto circolo psicologico e intellettuale, il mondo esterno assume una dimensione altra, affiora sulla tela con un significato prevalentemente evocativo (piuttosto che emotivo) filtrato attraverso la luce del colore che a zonature piatte, delimita e definisce gli spazi. Si tratta di un colore che non graffia né deforma ma affettuosamente si adagia sui corpi rendendo trasparenti le ocre, i rossi, gli azzurri intensi, i bianchi che, così frenati, assorbono le rifrazioni del pulviscolo atmosferico. E’ come se Amendola guardasse agli accadimenti da una posizione obliqua, dall’angolo di un proscenio immaginario. In tal modo il limite dello spazio reale diviene finestra spalancata sul vissuto: la linea dell’orizzonte alta, la spiaggia che taglia diagonalmente la scena, l’insieme degli eventi osservati come attraverso la lente di un singolare cannocchiale metafisico. Perché anche se l’eco dei “valori plastici” è nell’aria, è questo l’aspetto essenziale della pittura di Amendola. L’assenza-presenza di azione che immerge in una sospensiva temporale i gesti attraverso i quali l’azione stessa si afferma. Quella assenza-presenza che si propone anche quando dall’esterno passa agli interni, nella fissità di un’immagine certa che si riflette nello specchio o colloquia con la classicità del Museo. Una dimensione interiore, dunque, che l’artista traduce in limpida visualità.

Vito Apuleo

(Quadri e Sculture, Aprile – Maggio 1996, n.19)