2004 - ENZO AMENDOLA: UNA FIGURATIVITA' CONCETTUALE (Mario Lunetta) Stampa E-mail
ENZO AMENDOLA: UNA FIGURATIVITÀ CONCETTUALE

... Per quanto mi riguarda, ho sempre più ferma la convinzione che oggi non si dia in pittura una figurazione adeguata che non possa essere definita "concettuale". Il suo opposto, la cui efficacia mi appare sempre meno mordente, è una figurazione che direi emotiva, fondata sull'identificazione col "soggetto", che per ciò stesso assume una sua sacralità e non si mette, in quanto tale, in discussione.
Interno con fiori secchi (2003)
Interno con fiori secchi (2003)
Un artista come Enzo Amendola, nel cui lavoro una lucida intelligenza del mondo si è sempre sposata con la fecondità di una visione dubbiosa, in attesa, come ansiosa di cogliere dall' enigma delle cose e dell'esistenza una qualche (ovvia¬mente sempre limitata) illuminazione, continua a dare di questa concettualità figurativa testimonianza forte, non cessando di pro¬durre un discorso per frammenti, per schegge, per fotogrammi, direi che, proprio perchè non hanno la pretesa di rendere la tota¬lità, ne marcano l'incongruenza e il disordine. Della confusa catastrofe dell'epoca Amendola dice ed esprime assai più di tanti altri pittori che si illudono di affrontare la Grande Caduta mediante un rumore e una scomposta gestualità deputati a investire la globalità dell'esistente, nella maggior parte dei casi sul canone di una retorica linguistica obsoleta e ripetitiva. Amendola, di contro, agisce — per dirla con Benjamin — "a contrappelo". Non crede all'efficacia degli Affreschi Definitivi, per così dire, ma insinua il filo del suo sguardo preciso e tagliente su lacerti di mondo, residui di giornate, lembi notturni, tra Roma e l'amata Sicilia delle isole, ambientazione metropolitana dichiaratamente riconoscibile e pezzi di vita domestica, uomini, donne, animali colti come presenze casuali e prive di autoappartenenza, resi alla pari degli oggetti e, si direbbe, del fulgore o del declinare del clima e della luce.
Sedia con figura (2003)
Sedia con figura (2003)
Uno degli elementi di maggior fascino di questa pittura, uno dei dati che ne costituiscono la non enfatizzata energia, è il fatto che nell'artista manca ogni compiacimento, ogni abbandono al tepore della quotidianità , delle presenze ben note, insomma dello stato di sicurezza e di "custodia" che calibra ogni vita all'interno di una norma; e di contro fluttua in queste immagini una condizione di allarme, o quanto meno di esitazione titubante che dicono come qualcosa di non precisamente rassicurante stia per accadere, o sia da poco accaduto. Amendola non si sogna neppure di fare del minimalismo, con tutto il piccolo guasto narcisistico che caratterizza questa tendenza. Ha altre ambizioni e le realizza altrimenti: prima di tutto, quella di parlarci di una realtà in dissesto, la cui complessità ridotta in trucioli risulta impossibilitata ad accamparsi di nuovo in una dimensione di plau¬sibile compostezza. Così, secondo analoga modalità e procedura di stile, l'artista oppone il silenzio dei suoi scenari al fragore e al becerume che ci circonda, e da cui siamo costantemente abitati. In realtà, la pulizia della pittura amendoliana richiama inten¬samente, a contrario, il sudiciume e l'immondizia non soltanto materiali del mondo: e tale è l'acutezza raggelata dell'occhio del pittore, tali i suoi nitori cromatici, che qualsiasi inclinazione di tipo rassicurantemente piccoloborghese ne è seccamente espun¬ta. L'arte di Amendola con le sue geometrie in cui ciò che è visivo trapassa in ciò che è mentale, e nella quale scatta la sugge¬stione nel momento in cui l'artista, anzichè identificarsi con le immagini cui dà vita, se ne ritrae per riflettere sulla loro possi¬bile dissoluzione, è alla fine un'arte sempre sfiorata dalla tragedia. Sembra che egli le consideri con sospetto ansioso nel momen¬to stesso in cui ne è attratto e ne subisce l'attrazione magnetica. Sì, perchè appunto e proprio di magnetismo mi pare si debba parlare di fronte a questi testi iconici così densi di cose non esibite, di parole non dette, di reticenze e di sottili divieti.

Un'arte a suo modo crudele com'è nella migliore tradizione del moderno: e una delle cui cifre di retroterra è
Doppio femminino (2003)
Doppio femminino (2003)
il cinema (tagli sguinci, figure senza volto, prospettive sghembe, insistenza sul dettaglio affermato come protagonistico, oggettivizzazione di tutti gli elementi, au pair). Viene anche da pensare, di fronte a questa serie di bellissimi e spaesanti pezzi-presenze in cui il gioco cromatico su campiture nette è sempre più poeticamente arbitrario e antinaturalistico, a certe procedure che tra i Cinquanta e i Sessanta del secolo scorso furono in letteratura le sigle della francese ècole do regard, e di Robbe-Grillet in specie. E' appunto questa "freddezza" catalogica che cancella nella pittura amendoliana qualsiasi alito lirico, e ne fa un discorso in cui le cose "parlano" una lingua silente eppure carica di fortissima espressività "critica" sulla reificazione degli uomini che in questi spazi pieni d'ombra o accesi di luce sembrano aver abdicato alla loro stessa natu¬ra e funzione di costruttori di relazioni.

Altro memento ritornante in Amendola è il Museo, con i suoi reperti arcaici perlopiù fittili. Non si tratta, ovviamente, di un rifugio nel mito e nell'indif¬ferenziato di epoche remote ma quasi un'ironica contrapposizione tra cronaca effimera e storia eternizzata, tra fugacità del presente e spessore profondo della memoria. Ad Amendola interessa, anche in questo caso, il rappor¬to di scambio tra la figura umana e il manufatto, uno scambio in cui le iden¬tità si mescolano e lo spazio di rispetto tra i due elementi assume un senso di stupefazione e di enigma.

Un'arte della contraddizione, quindi: che si contrappone con estrema consa¬pevolezza, da una parte al gusto elegiaco sempre così scivolosamente tran¬quillizzante, e dall'altra al vacuo clangore delle soluzioni "anacronistiche" o variamente "trans", Lungi dal rassicurare, lo spazio di Amendola è minato, ed esige esploratori attrezzati e cauti. Nessuno si lasci impunemente intriga¬re dall'incanto di queste opere recenti del pittore romano, perchè dentro la loro purezza impeccabile c'è una bella miscela di veleni e di tòssico: ed è qui, a questo punto, che si avverte la perentorietà di giudizio sul mondo e sulla società di un artista che con la stessa perspicuità elabora pensieri acuminati nel momento stesso in cui elabora forme splendenti.

Mario Lunetta

(Catalogo della mostra alla Galleria “Lombardi”, Roma, 2004)